manicomio di MombelloManicomio-Mombello

Il Manicomio di Mombello è una delle tappe preferite dagli amanti del mistero e dei luoghi abbandonati. Ci aspetta immobile nel suo degrado, a testimonianza di un passato spaventoso, sedie a rotelle, schedari, nomi di persone vere che qui hanno trascorso lunghe giornate passeggiando per i corridoi.

Camminando per i padiglioni dell’ex Ospedale psichiatrico si avverte un silenzio inquietante. Mette i brividi pensare che queste pareti degradate sono state testimoni di così tanti soprusi e sofferenze. Si riescono anche ad immaginare le urla disperate dei pazienti che qui hanno perso la vita.

Storia del manicomio

Il manicomio di Mombello, il cui vero nome era Ospedale psichiatrico Giuseppe Antonini, è oggi una struttura lombarda fatiscente nel comune di Limbiate (MI), Anticamente fu una villa finemente affrescata e appartenuta alle famiglie Arconati e, successivamente, Crivelli. Siamo nel 700, la proprietà è bellissima e circondata da ampi giardini fioriti.

Ad inizio 1800, la Villa viene abbandonata e acquistata dal Comune di Milano, che nel 1863 procede alla ristrutturazione e la adibisce ad Ospedale Psichiatrico. Alla base di questa decisione c’è lo scoppio di un’epidemia di colera nel 1865, che pone l’urgenza di trovare un posto dove ricoverare i malati.

I primi pazienti ospiti del manicomio di Mombello sono 150 uomini e 150 donne, rigorosamente divisi e considerati malati tranquilli, cioè non bisognosi di cure insistenti. Successivamente agli ampliamenti della struttura, avvenuti tra il 1873 e il 1878, i pazienti arrivarono a circa un migliaio, divisi in: tranquilli, agitati, lavoratori, ecc.

Mentre tutti gli altri erano liberi di circolare all’interno della struttura e svolgere attività, laboratori, piccolo artigianato, i pazienti considerati agitati venivano tenuti in isolamento.

Figura fondamentale al manicomio di Mombello è stato lo psichiatra Edoardo Gonzales che fu promotore dell’introduzione di balli e rappresentazioni teatrali all’interno dell’ospedale. L’iniziativa sottolineava l’importanza dell’educazione morale nella cura manicomiale.

Grazie sempre a Gonzales, venne costruito un acquedotto che serviva acqua non solo al manicomio, ma a tutto il comune di Limbiate e il famoso reparto fanciulli. Quest’area, destinata ai piccoli in manicomio, era arredata con materiale Montessori.

Nel 1908 il manicomio di Mombello venne ulteriormente ampliato con la costruzione di quattro padiglioni aperti, due dei quali vennero adibiti ad ospitare i militari feriti al fronte durante la Prima Guerra mondiale.

Nel 1931, all’interno del manicomio di Mombello venne istituita una sezione universitaria, che permettesse alla sezione di Clinica delle malattie nervose e mentali Carlo Besta, di avere i pazienti necessari per lo studio e l’insegnamento delle malattie mentali.

A partire dal secondo dopoguerra, il manicomio di Mombello iniziò un lento declino, anche a causa dell’istituzione della nuova succursale di Affori, nel 1945, intitolata allo psichiatra Paolo Pini.

Si stima che furono almeno tremila i pazienti ospitati dall’ospedale psichiatrico, che venne definito come uno dei più grandi e importanti d’Italia.

Nonostante la legge n. 180 del 1978 , che decretò la chiusura dei manicomio, l’ospedale psichiatrico di Mombello ci mise circa vent’anni prima di portare a termine tutte le dimissioni dei pazienti a lunga degenza. La struttura fu definitivamente abbandonata nel 1999.

Cosa resta del manicomio

Dal 1999 ad oggi è passato un ventennio, cosa resta oggi del manicomio di Mombello? La struttura è enorme, circa 40 mila metri quadrati tra celle, stanze, corridoi in totale stato di abbandono.

Anzi no, forse non si tratta di una struttura completamente abbandonata, perché al suo interno si può trovare traccia del passaggio di qualche senza tetto, di qualche writer e, sicuramente, di tutta una sorta di vandali che negli anni hanno distrutto e rubato tutto ciò che poteva essere lasciato lì, intatto, a dimostrazione di un passato spaventoso.

Al manicomio di Mombello vengono anche gli amanti del mistero, tra questi corridoi sono passate schiere di cercatori di fantasmi, alla ricerca di un segnale, di una corrente, a testimonianza di presenze invisibili, indissolubilmente ancora legate a queste stanze.

In alcune di queste stanze si scorge una sedia a rotelle, lavandini e tavoli. Ma anche brande di ferro rovesciate, lastre e schedari con le annotazioni dell’epoca. Ci chiediamo quanti sono morti qui, alcuni con sofferenze tremende, e quanti spiriti sono ancora qui tra queste stanze.

Uno schedario con tanti nomi senza un volto, un senso profondo di malinconia, disperazione e un’eterna solitudine deve aver fatto da compagna a poveri pazienti dimenticati. Camminare su questi pavimenti, schivando lastre, elettrocardiogrammi sparpagliati, mette davvero i brividi.

Tra le tanti morti avvenute tra le pareti del manicomio di Mombello, ricordiamo quella del figlio illegittimo di Benito Mussolini, Benito Albino, che qui finì la sua vita a soli 26 anni. Non abbiamo prova che il manicomio sia infestato dai fantasmi, ma riusciamo a percepire tutta l’inquietudine che trasuda direttamente da queste pareti e non ci ha abbandonati neanche per un istante la sensazione di essere osservati.

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